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La nuova era del Design Thinking

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chiaraperetti-alessandrasalfidi Silvia Pagliuca

Approcciarsi a un problema in maniera inedita, ricercare soluzioni diverse da quelle attese, rimettere l’uomo al centro. Ecco il Design Thinking, la disciplina che sta spopolando in Italia (e nel mondo intero) con la quale si trattano problemi complessi, che comportano rischi decisionali elevati, avvalendosi di un metodo nuovo, creativo e originale. Una sfida per designer e aziende, in cui agisce da fuoriclasse lo spin-off dell’Università di Modena e Reggio-Emilia, Epoca. Una realtà nata nel 2007 e velocemente diventata un vero e proprio punto di riferimento, rappresentando uno snodo d’innovazione tra il mondo universitario e quello delle imprese grazie alla possibilità di attingere a competenze diversificate: dall’ingegneria meccatronica all’intelligenza artificiale, dall’ingegneria gestionale e dei processi fino alla ricerca operativa, dalla logistica alla produzione.

«Epoca è stata fondata dal prof. Diego Macrì e da altri professori universitari ed è partita con una sola dipendente. È cresciuta negli anni in cui la crisi economica ha messo a dura prova tante imprese e oggi ha un team multidisciplinare di 10 dipendenti – spiega Alessandra Salfi, Marketing Strategist di Epoca, specificando – Quello con l’Università è un rapporto di osmosi che ci consente di coinvolgere facilmente professori e ricercatori. In particolare, negli Embedded, progetti di ricerca della durata di tre mesi realizzati all’interno di grandi aziende italiane, creiamo gruppi multidisciplinari in cui studenti e dipendenti dell’azienda lavorano fianco a fianco per generare prodotti, servizi e soluzioni innovative».

Uno dei casi più interessanti ha riguardato Barilla: un’esperienza che ha coinvolto oltre 200 persone provenienti da diversi paesi e con le competenze più svariate, per creare un’area Design Thinking e ideare un nuovo approccio per lo sviluppo dei prodotti, riconosciuto nel 2016 dal premio SMAU per l’innovazione.

Non solo, il Design Thinking sta ridefinendo anche un altro mondo: quello del Facility Management, non più inteso come sola manutenzione degli spazi finalizzata alla conservazione e gestione del patrimonio immobiliare, ma come cura del benessere delle persone che vivono quelli spazi. «A varcare questa nuova frontiera del Facility Management è stata H2H, azienda che ha finanche cambiato il suo nome per proclamare la nuova missione: “Human to Human”, ovvero persone che si prendono cura di altre persone. Il Design Thinking ha rimesso al centro l’uomo: abbiamo costruito attorno alle persone, dal cliente finale al manutentore, un ecosistema fatto di touchpoint tecnologici (app e portali) e di processi, riorganizzati per offrire benessere a chi vive lo spazio. Grazie ad H2H è nato persino un laboratorio di eccellenza per il benessere organizzativo presso il DISMI, all’Università di Modena e Reggio Emilia» – racconta Salfi.

App_H2H

«Pensiamo che anche nel settore del Facility Management ci sia la necessità di innovare – riconosce infatti Stefano Donati, Amministratore Delegato di H2H Facility Solutions – Non è più solo una questione di riparazioni, manutenzione e servizi in outsourcing, si tratta di prendersi cura delle persone che vivono gli edifici in maniera più ampia e completa, intercettando i loro bisogni, analizzando le possibili soluzioni ed elaborando servizi sempre più innovativi che siano in grado di migliorare sensibilmente l’ambiente di lavoro e, di conseguenza, di vita».

Certo, non tutte le realtà sono così aperte. Nonostante ci sia un gran fermento intorno al Design Thinking, non è sempre facile farne percepire il valore alle aziende che si aspettano soluzioni pre-confezionate a problemi definiti. Al momento, in Italia, ad aver introdotto questa nuova metodologia sono le realtà più grandi, come Vodafone, Allianz, Bosch, Whirpool e, appunto, Barilla.

«Ma si sta progressivamente comprendendo, anche da noi, che il budget dedicato a design, ricerca e progettazione è un investimento. Se guardiamo oltreconfine, dopotutto, sono già moltissime le multinazionali e le società di consulenza che si sono aperte al Design Thinking e che stanno addirittura aprendo hub dedicati o inglobando piccole agenzie di design. Penso a Mckinsey, Accenture e Deloitte, ad esempio» – rileva Chiara Peretti, Experience Designer dello spin off Epoca.

Lei, 35 anni e una laurea in Storia dell’arte contemporanea, ha iniziato ad approcciarsi al mondo del Design Thinking nel 2014, grazie alla Bologna Service Jam: «ho visto in un’unica disciplina condensarsi tutto quello che avevo cercato per anni. Da quel momento me ne sono innamorata». Lavorando già nella progettazione web come User Experience Designer, Chiara ha accresciuto le sue  competenze nel Design Thinking con corsi ed eventi e, oggi, a chi fosse interessato a lavorare in questo mondo, consiglia: «Esistono diverse Università specializzate come il Politecnico di Milano con i suoi percorsi in Service design e User experience design o, per chi preferisce un approccio più ingegneristico, il DISMI a Reggio Emilia con un corso di Business process Engineering».

Insomma, secondo Chiara, si può arrivare al Design Thinking sia dall’area Design che dall’area che si occupa di processi, quindi più ingegneristica. «Credo che un professionista completo debba avere un background orizzontale sulle nuove tecnologie e sulla comunicazione. Competenze di grafica e conoscenze nel campo IT non guastano. E poi – conclude – bisogna non avere mai voglia di annoiarsi ed essere curiosi di tutto quello che ci circonda».

twitter@silviapagliuca


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