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Channel: spin off – La nuvola del lavoro
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La biotech tedesca da un miliardo e “in Italia pochi soldi per la ricerca”

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di Fabio Savelli

MONACO DI BAVIERA – Il camice bianco e un microscopio. La ricercatrice dai lineamenti spiccatamente tedeschi osserva con cura quanto liquido immettere in appositi fessure. Comincia così il processo di creazione di un biofarmaco, diverso dai farmaci tradizionali perché costituito da grandi molecole simili a proteine e geneticamente modificate.

È il futuro della ricerca medica mondiale per le maggiori possibilità di risoluzione di malattie attualmente non curabili. Così non sorprenderà quanto può valere un anticorpo monoclonale, ancora solo un’opzione terapeutica per curare la leucemia linfoblastica acuta: oltre 1,1 miliardi di dollari.

È il valore di Micromet, una biotech fondata in Germania da uno spin off dell’università di Monaco e acquisita dal colosso Usa delle biotecnologie Amgen, che l’ha rilevata perché interessata a una tecnologia in grado di attivare un particolare tipo di linfociti per combattere i tumori.

Amgen è la principale società indipendente di biotecnologie al mondo. Nata dall’intuizione di un gruppo di ricercatori americani è una delle poche start-up ad essere sopravvissuta in un campo in cui gli investimenti sono importanti e il rischio di dissiparli altrettanto alto.

Nel 2012 ha fatturato 17,3 miliardi di dollari, conta 18 mila dipendenti in tutto il mondo e ha otto stabilimenti produttivi costituiti da bioreattori per dimensioni simili a quella di una centrale nucleare. É presente in più di 50 Paesi e in Italia impiega 240 persone attivi nella ricerca di base e in ambito amministrativo/commerciale.

Dice Carlsten Thiel, vice-presidente di Amgen Europa, che «l’Italia è un Paese dalle enormi potenzialità, ma ora sono preoccupato per le misure di spending review». Osserva invece che «i ricercatori italiani sono tra i più preparati il mondo, ma devono essere pronti a trasferirsi all’estero».

A ben vedere la mobilità è ormai un dato acclarato, tanto che nell’immaginario collettivo si è sedimentato il concetto di «fuga di cervelli», che teorizza il ritardo della ricerca biotech nel nostro Paese. Fattori di ordine economico, ovviamente, perché il supporto pubblico è decisivo per processi di ricerca che coinvolgono stabilimenti produttivi nell’ordine di centinaia di milioni di euro.

Soprattutto il farmaceutico è un ramo in cui solo pochissime molecole arrivano alla fase di commercializzazione e il ciclo di ricerca varia dai 10 ai 15 anni. La fotografia italiana del settore la fornisce Assobiotec che testimonia una parziale vitalità di un settore da sette miliardi di euro nel 2012.

Eppure colpisce come il 77% delle imprese sia di micro-dimensioni, la gran parte con meno di 10 addetti. Soprattutto amareggia come ancora «nessuno dei prodotti sviluppati dalle imprese pure biotech italiane abbia ancora raggiunto la fase di immissione in commercio». Certo è un segmento di ricerca ancora giovane, ma quante Micromet ci sono davvero in Italia?

twitter@FabioSavelli


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